5. Il programma finito e l’anteprima

Riconsiderando a trasmissione conclusa i 3 protagonisti della trasmissione – di Andrea Ladurner

La fase della redazione e della produzione non si può separare. Quando abbiamo finito la nostra ricerca avevamo tantissime informazioni – molte più di quanto ci eravamo aspettati all’inizio. Il tema pizza, che sembrava banale e facile, ha rivelato ampi lati interessanti e aspetti sorprendenti. Per ordinare le informazioni, abbiamo deciso di dividerle in due grandi gruppi. Abbiamo identificato da  un lato l’approccio emozionale e dall’altro lato l’approccio scientifico al nostro tema. I rappresentati sono stati tre esperti molto differenti.

Per il primo aspetto il signor Emiliano Cerci, un maestro nell’arte di preparare una pizza „vera“.

Originalmente di Roma vive in Germania e dirige una scuola di pizzai(u)oli a Monaco ed è il protagonista e l’anima della cucina del ristorante „The Italian Shot“. Il signor Cerci vive la filosofia di alimentarsi in modo sano e buono ed è ambasciatore della pizza vera.

Ma esiste una pizza vera? Secondo Cerci non esiste la pizza originale, italiana al cento per cento. L’immagine generale, anche quella degli italiani, della pizza vera coincide con la pizza napoletana. A Napoli infatti è stato creato il primo prototipo della pizza come la conosciamo oggi. Con certezza invece si può dire che esiste la pizza vera, che merita questo nome, se è fatta con conoscenza e passione. Perché fare la pizza è facile, ma farla bene è un’arte. Il signor Cerci ha approfondite conoscenze sugli ingredienti, dalla struttura esatta del grano odierno alla maturazione e alla lievitazione dell’impasto con tempi esatti e temperature che devono essere rispettate per raggiungere un risultato perfetto. In generale sono gli ingredienti che sono la parte più importante del prodotto. Abbiamo la farina, i pomodori San Marzano, la mozzarella di bufala campana, il basilico e un po’ di olio d’oliva extra vergine. Poi la pizza viene infornata a temperature di più di 400 gradi in un forno di legna. Ma tutta la conoscenza non mi ha ispirato e affascinato tanto quanto la passione che Emiliano incarna. È veramente un maestro del suo lavoro e lo pratia con tutto il cuore. Parla della pizza come di un cibo che ci collega con la natura perché rappresenta i quattro elementi: la terra, che serve per coltivare gli ingredienti, l’aria per dare all’impasto la tipica caratteristica lievitata e profumata, l’acqua necessaria a fare l’impasto e infine il fuoco, che crea delle temperature altissime necessarie a completare questa opera d’arte.

Per Emiliano Cerci il riconoscimento dell’UNESCO non è così importante. Lui per primo ha sottolineato che non la pizza come cibo, bensì l’arte della preparazione fa parte del patrimonio immateriale dell’umanità. Per questo pensa che sia una bella cosa, sì, e che affermi l’orgoglio dei pizzaiuoli, quelli con la „u“ alla napoletana, però non ritiene che creerà un ritorno economico sensibile. Nonostante ciò è importante per i pizzaiuoli, fino ad oggi spesso considerati i „fratelli minori del cuoco“. Secondo Cerci invece sarebbe più importante creare un regolamento che permetta di far diplomare i veri pizzaioli con un titolo di studi. Così solo chi ha le ampie conoscenze necessarie a preparare una pizza vera si potrebbe chiamare „pizzaiolo“.

 

Un’altra figura centrale per il quale la pizza rappresenta un simbolo nazionale dell’Italia è Alfonso Pecoraro Scanio. Questi, ex-Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, è il padrino della petizione ed è stato il punto di partenza per il riconoscimento dell’UNESCO. Insieme all’associazione dei pizzaioli napoletani ha dato il via al movimento per proteggere la pizza e l’economia ad essa legata. Non si è lasciato fermare da un fallimento iniziale nel 2014. Durante i sei mesi della Expo a Milano (2015) ha continuato a raccogliere firme per ottenere la candidatura unica e ufficiale per entrare nel Patrimonio immateriale dell’Umanità come rappresentante dell’Italia. Dopo anni di negoziati internazionali „L’arte dei pizzaioli napoletani“ è stata scelta all’unanimità nel dicembre 2017 in Corea del Sud per accedere alla Lista dei Patrimoni immateriali dell’Umanità dell’Unesco. In totale sono state raccolte due milioni di firme, soprattutto in Italia ma anche in tutto il mondo. A Sao Paolo, Sydney e New York hanno firmato numerosi sostenitori. Si tratta infatti di luoghi in cui si mangia tantissima pizza, eredità degli inizi dell’emigrazione e della diffusione mondiale della pizza. Pecoraro Scanio si è impegnato tantissimo in questo progetto e ha continuato fino a raggiungere il suo obiettivo. Però quali effetti ha avuto e avrà questo riconoscimento?

Come sará il futuro non è dato saperlo. Sicuramente la pizza non ha ancora raggiunto la fine della sua evoluzione. La gente di oggi tiene ad un’alimentazione sana, la pizza pero non è considerata un cibo sano secondo i canoni odierni. Per questo è necessario che si adatti alle nuove abitudini e necessità: la pizza senza glutine, con farina integrale, ecc.
I cibi dell’Asia come il Sushi sono sempre più ricercati e diffusi anche in Europa. Nonostante ciò la pizza possieda ancora la capacità di unire culture differenti: offre la possibilità di servire tantissimi gusti differenti perché la base è sempre la stessa – solamente i condimenti si devono adattare. E il fatto che è adorata da tutti non cambierà così velocemente neanche in futuro.

 

A fronte della passione per la pizza abbiamo incontrato anche il punto di vista razionale-scientifico grazie al professor Gunther Hirschfelder che ci ha raccontato la storia della pizza, analizzandone le valenze.

Non si può determinare esattamente quando è nata la pizza. Innanzitutto perché non esiste „la“ pizza, ma ne esistono varie forme intermedie, risultato di uno sviluppo durato secoli. Alcuni dicono che già gli egizi avevano un tipo d’impasto simile a quello che conosciamo oggi. La pizza in Italia si è sviluppata perché l’alimentazione mediterranea era basata sui cereali e nel tentativo di trovare soluzioni alle gravi carenze alimentari.

All’inizio la pizza veniva mangiata solamente dai ceti meno abbienti. Interessante è sapere che già a quest’epoca era un cibo to go. La pizza in generale è cotta in poco tempo e in modo facile. Il problema della preparazione era l’intenso calore necessario a cuocerla e di conseguenza la quantità di legna da ardere per ottenerlo. Nell’Italia ottocentesca però non era possibile per i poveri mantenere un forno con temperature a più di 400 gradi e soprattutto non era economico. Napoli era una città con una grande densità di popolazione. Così sono nate le prime pizzerie nelle strade principali della città. La culla della pizza è Spaccanapoli, luogo in cui, grazie alla grande quantità di clienti, si potevano sfornare pizze a ciclo continuo e grazie a ciò a prezzo economico. Con i cereali e il grasso era un cibo perfetto: veloce e nutriente e soprattutto gustoso. Così si sviluppa come cibo importante dei cittadini italiani durante il XIX. Con il tempo anche i nobili presero gusto alla pizza. Alla regina Margherita è stata dedicata la pizza che ancora oggi porta il suo nome e che mostra i colori nazionali. La pizza Margherita fin dalla sua nascita è diventata un simbolo d’Italia e un cibo per tutti. Da sottolineare come già a questi tempi la pizza rappresentasse in qualche modo un cibo globale: il pomodoro viene dal Sudamerica, il frumento dall’Oriente, la mozzarella dal latte dei bufali asiatici e il basilico dall’India.

Grazie agli emigranti la pizza ha potuto diffondersi prima negli Stati Uniti e alla fine in tutto il mondo. La pizza era mangiata negli Stati Uniti per motivi meno economici quanto d’identificazione visto che nelle pizzerie si incontravano i connazionali italiani e i suoi profumi ricordavano la patria oltreoceano. Fin dall’inizio era venduta per strada nelle grandi città come New York e Chicago, proprio come lo era stata a Napoli. Nel resto d’Europa, al di fuori dell’Italia, la pizza non ha avuto aveva alcuna rilevanza fino alla metà del XX secolo. Un altro passo sulla strada del successo mondiale della pizza è stata la seconda guerra mondiale. Durante questo periodo i soldati americani hanno scoperto la pizza in Europa. Sono stati i primi clienti delle prime pizzerie aperte in Germania dagli emigranti italiani. Questo ha aumentato a sua volta il successo della pizza negli Stati Uniti. Dopo la seconda guerra mondiale la pizza ha avuto un enorme incremento di giro d’affari anche in Europa. Motivi del suo successo sono stati soprattutto l’emulazione dell’ occidente, in particolar modo degli Stati Uniti in cui si era già diffusa, ma anche una nuova ondata di emigranti dall’Italia verso Germania e anche il nuovo fenomeno del turismo di massa. Tanta gente passava le vacanze in Italia e voleva ornare a gustare la dolce vita italiana, con tutto ciò che contiene, spiaggia, sole e la cucina tipica, anche al proprio rientro al nord. La pizza diventa una moda.

Come è avvenuto il passaggio da cibo da poveri, a fenomeno di massa fino ad arrivare a rappresentare  un simbolo culturale, riconosciuto in tutto il mondo? Ci sono diversi motivi e caratteristiche che sono necessarie per trasformare un cibo locale in un cibo globale:

Preparazione veloce e facile: risparmio di tempo

Alta riconoscibilità: la forma tonda è unica

Porzionabile

La possibilità d’asporto: un cibo to-go

Nome facile: si dice pizza in tutto il mondo (in modo simile alla coca cola)

La pizza si dimostra inoltre una trasformista fenomenale: si adatta a tutte le particolarità locali e la si può preparae per i gusti più differenti. In Germania per esempio ci si aspettava un ricco condimento con più pasta per un alto valore nutrizionale. Negli Stati Uniti si è sviluppata la pizza „deep-dish“ con un bordo molto alto e più grassa e, pochi anni dopo, le miscele da forno già pronte. Così sono insorte tantissime varietà di pizze in tutto il mondo: con dei sottaceti di mango o, il classico esempio per la mutazione della pizza, la pizza Hawaii con l’ananas. Questo pero è anche il segreto del successo della pizza. Perché solamente grazie all’adattamento ha potuto sopravvivere fino ad oggi. Così ci si può chiedere: se il riconoscimento dell’UNESCO rispecchia l’intenzione di conservare la pizza come un cibo originale e con una ricetta unica, quali ne saranno le conseguenze se questa in realtà può sopravvivere solamente grazie al cambiamento?

Concludendo si può dire che la pizza ha delle origini italiane, però oggigiorno è un cibo globale, diffuso e amato in tutti i continenti del mondo.